Luci-d-artista-Torino

Siamo solo a metà novembre, ma l’odore del Natale, qui a Torino, si respira già. A deciderlo è stata l’accensione della magica collezione di Luci d’artista che ogni anno, a ridosso della rinomata stagione autunnale dell’arte contemporanea, comincia a scaldare le strade e le piazze della città carburando i nostri cuori con l’atmosfera della festa. Bisogna dirlo, ogni volta, a partire dalla prima fortunata edizione del 1998, è una trepida attesa a domandarsi: “dove saranno posizionate le luci questa volta? Chissà se se n’è aggiunta qualcuna nuova?”… e le sorprese non mancano mai!
Quest’anno se volessimo goderci un itinerario che ripercorra tutte le installazioni, potremmo partire da piazza Vittorio Veneto, uno degli angoli più belli e magicamente suggestivi del capoluogo piemontese, e volgere lo sguardo in alto, oltre il prospetto della Gran Madre, verso il monte dei Cappuccini. Da lassù si staglia l’antica chiesa di Santa Maria al Monte e tutt’attorno aleggiano, immersi e un po’ offuscati dai pallidi vapori del fiume, i piccoli cerchi di luce blu di Rebecca Horn (Piccoli spiriti blu), opera resa permanente dalla municipalità nel 2013.

Proseguendo verso via Po, la troviamo agghindata da una creazione tra le veterane del gruppo, Palomar di Giulio Paolini (ispirata al celebre racconto di Italo Calvino). Centinaia di bianchi corpi celesti (stelle, mezzelune, cerchi, pianeti, etc.) ci fanno riflettere e allo stesso tempo favoleggiare sull’inafferrabilità dell’universo.

Poi alla nostra destra la Mole Antonelliana, bella, imponente e svettante, che partecipa alla danza delle luci con Il volo dei numeri: uno dei suoi profili ricurvi è attraversato in verticale dalla serie numerica di Fibonacci (ogni numero risulta dalla somma dei due numeri precedenti), che permette a Mario Merz di ribadire il tema a lui caro della circolarità organica.

Sulla sinistra, invece, i simpatici Ice Cream Lights di Vanessa Safavi, una serie di riproduzioni delle più celebri insegne luminose di gelaterie torinesi, ci strappano un sorriso, ma è solo varcando Piazza Carlo Alberto e portandosi al cospetto della Biblioteca Nazionale che la luce, opera di Alfredo Jaar, si fa severo monito: Cultura = Capitale.

Superata la piazza, via Carlo Alberto si trasforma in un profondo timpano greco attraverso la ripetizione in sequenza dei profili al neon di Noi, l’opera di Luigi Stoisa. Le sagome rosse di un corpo maschile e di uno femminile si compenetrano all’altezza della testa come a sorreggersi l’uno con l’altra, dando una schematica rappresentazione al concetto di amore.

Ora facciamo un passo indietro, diamo le spalle a Piazza Carlo Alberto e entriamo in Galleria Subalpina. Di fronte a noi uno spettacolo iridescente blu, l’installazione di Valerio Berruti: il profilo accovacciato di un bambino che, in video-animazione, salta ripetutamente sopra le nostre teste. Ancora una volta, titolo dell’installazione, «è una frase infantile che vorrei far uscire dalle bocche degli adulti, richiama il gioco», dice l’artista con un invito a prendersi meno sul serio.

Luci-d-artista-TorinoE poi la meraviglia di piazza San Carlo. È qui che da almeno due anni trova spazio l’installazione di Nicola De Maria, Regno dei fiori: nido cosmico di tutte le anime. Si, perché i neon colorati che avvolgono dolcemente i lampioni della piazza sembrano proprio delle corolle di fiori, punto di congiunzione, secondo l’artista, tra il nostro mondo e quello delle anime dell’aldilà.

Proseguendo oltre la piazza, ecco le immancabili Palle di neve di Enrica Borghi: bottiglie di plastica, ritagliate e montate su nuclei di polistirolo, fioccano sulle nostre teste e conducono visivamente lo sguardo verso Porta Nuova e l’orologio luminoso di Tobias Rehrberger, My noon. La giusta lettura delle barre al neon indica lo scorrere del tempo e la circolarità dell’esistenza umana: i cerchi le ore, le barre oblique rosse le decine di minuti e quelle verticali bianchi le unità dei minuti.

Deviando per piazza Bodoni, il messaggio di Domenico Luca Pannoli è dichiarato a caratteri e simboli decisamente cubitali: L’amore non fa rumore.

Torniamo in piazza Castello e passiamo per la Galleria San Federico, dove Migrazione (Climate changing) di Piero Gilardi è l’opera prescelta. Dodici sagome di pellicani di colori cangianti evocano le migrazioni provocate dal riscaldamento globale e volano via, alla ricerca di climi più miti. Usciamo dalla galleria e alziamo lo sguardo: un altro colossale stormo di geometrici uccelli vola per tutta via Pietro Micca e via Cernaia reggendo un filo rosso in flex neon fino in piazza XVIII dicembre: è la nota installazione di Francesco Casorati.

Luci-d-artista-TorinoIn Piazzetta Reale, lo spettacolo offerto dalle Illuminated benches di Jeppe Hein è straordinario: basta sedervisi sopra per attivare una sequenza alternata di luci e colori. Tuttavia, è solo attraversando piazzetta Corpus Domini che si rivela progressivamente davanti ai nostri occhi una tra le più efficaci installazioni della serie. Tappeto volante di Daniel Buren è una coltre luminosa di piccoli cubi tricolori sospesa sulle nostre teste: essa riveste la piazza del municipio da sempre, a riprova che alcune opere sono ormai intrinsecamente legate al luogo per cui sono state pensate. Se da via Milano poi ci immettiamo in via Garibaldi ecco il racconto di Luigi Quarzo, Luì e l’arte di andare nel bosco, divenuto luminaria per opera di Luigi Mainolfi; una fiaba che dura il tempo di una lenta e paziente passeggiata da Piazza Castello a Piazza Statuto.

Quattro opere luminose, infine, mancano all’appello, dislocate in punti leggermente più periferici, sebbene altrettanto significativi, della città: proseguendo verso corso Giulio Cesare da Via Milano, arriviamo in piazza della Repubblica e ad accoglierci è di nuovo un gioco di luci e colori ideato da Michelangelo Pistoletto. La frase Amare le differenze, ripetuta in 39 lingue del mondo, riveste le pareti del mercato coperto ed è un invito al superamento delle ostilità nei confronti della diversità, qualsiasi esse siano. Ritornando in via della Basilica, invece, varchiamo l’ingresso della Galleria Umberto I ed ecco un altro tappeto sospeso, sinuoso, fatto di led blu e rossi interpuntati da piccole lampadine bianche. Come una sorta di scenario barocco, i led alleggeriscono il peso delle spesse volte e le piccole lampadine bianche sfondano il soffitto per rivelare un cielo notturno di stelle scintillanti. Ancora un balzo in via Alfieri 6 ci porta nel cortile di Palazzo Valperga Galleani, dove davanti ai nostri occhi increduli si para Il Giardino Barocco Verticale di Richi Ferrero. Le luci disegnano sul pavimento in ciottolato le linee di un antico giardino barocco e fanno da palcoscenico a un albero in acciaio, alto quasi 6 metri, sospeso nell’aria. Usciamo poi dal centro, e dirigiamoci verso il parco del Valentino lungo corso Unità d’Italia, dove le decadenti memorie d’Italia ’61, i monconi della monorotaia nel laghetto artificiale, vengono valorizzati dalla vibrante ed enigmatica stella a cinque punte di Gilberto Zorio.

Concludiamo il nostro itinerario alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, luogo eletto come degna location per la cerimonia inaugurale dell’edizione di quest’anno. Sui muri esterni di Via Modane 16 vediamo proiettarsi l’opera site-specific #MosaicoTorino dei Dead Photo Working. Si tratta di un video-mosaico cangiante che ogni giorno si auto-arricchisce con gli scatti in città di qualsiasi utente in possesso di un account Instagram: basta l’apposizione dell’hashtag #MosaicoTorino alla foto e di giorno in giorno si andrà incrementando il volto dell’installazione fino al 15 di gennaio, quando le luci verranno nuovamente spente. Un modo davvero originale per permettere a tutti noi cittadini di contribuire a creare la magia delle Luci d’Artista!

Giusi Giamportone